“Con questi dittatori, di cui però si ha bisogno per collaborare, bisogna essere franchi per affermare la propria posizione ma anche pronti a cooperare per gli interessi del proprio Paese, bisogna trovare l’equilibrio giusto”.

 

Sono queste le parole pronunciate in conferenza stampa, qualche giorno fa da Mario Draghi che hanno causato l’ultima crisi diplomatica tra Italia e Turchia. 

 

Affermazioni emerse a ridosso dell’incidente diplomatico legato alla visita dei presidenti di Consiglio e Commissione Ue ad Ankara, durante il quale fu negata la sedia a Ursula von der Leyen durante l’incontro con il presidente turco.


Quell’incontro del 6 aprile ad Ankara serviva proprio per ridare slancio al dialogo tra Ue e Turchia e per alla cooperazione in vari settori dopo lo stop dell’ultimo anno a causa delle tensioni nel Mediterraneo orientale.

 

Un dialogo su cui l’Italia stessa ha investito, spendendosi a favore della linea diplomatica e contribuendo ad arginare i Paesi che chiedevano l’adozione di una posizione intransigente.

Nonostante tutto Draghi sa di poter contare sull’appoggio degli Stati Uniti nel condannare con tanta fermezza il comportamento di Erdogan (ricordiamo che frasi simili sono state usate da Biden in riferimento a Putin).

 

Il presidente americano vuole infatti creare una rete di alleanze tra i Paesi democratici del mondo, facendo del rispetto dei diritti il collante di un nuovo assetto geopolitico.

 

Tuttavia, l’incidente denominato ormai “sofà-gate” evidenzia l’incapacità dell’Unione Europea di veicolare un messaggio chiaro su sé stessa e sul ruolo che vuole assumere a livello geopolitico. Non si capisce quali siano i messaggi e chi è legittimato a veicolarli, e questa confusione si è resa manifesta proprio ad Ankara.

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