Medico, Astronauta, Calciatore. Magari anche Avvocato. Generalmente sono queste le risposte che – a titolo esemplificativo – un bambino darebbe alla domanda: «che lavoro vuoi fare da grande?».

Magari, crescendo ed iniziando a razionalizzare gli avvenimenti intorno a lui, potrebbe anche venirgli in mente di avvicinarsi al mondo della politica. Fantastico! Quale miglior modo di mettersi a servizio della comunità, se non quello di volerla guidare?

Già, proprio così, mettersi a servizio della comunità. Qualora servisse ricordarlo, politica è un concetto di derivazione greca che può essere tradotto come «governo della società». Presso gli antichi, infatti, era così tanto l’onore di ricoprire una funzione pubblica che per tale carica non era previsto contributo alcuno. Fu introdotta successivamente una retribuzione per permettere, giustamente, anche alle persone meno abbienti di potersi avvicinare alla vita pubblica.

Professione Politico o Politico di Professione?

Non è comunque intenzione dell’articolo discutere o meno sui compensi della politica, scadendo in spicciola demagogia, quanto porre l’accento sul fatto che, diversamente da quanto accadeva addirittura nell’antichità, si siano affermati i cosiddetti politici di professione.

In fondo, il politico di professione è un modello vincente? Si tratta di una domanda che mi sono sempre posto e che è tornata attuale in tempo di confusione istituzionale, tra tecnici e, appunto, politici di professione. Specialmente in prossimità di nuove tornate elettorali.

Per permettere al lettore di immedesimarsi nelle mie riflessioni, provo ad azzardare una definizione di politico di professione e, in un secondo momento, a fare dei dovuti distinguo. Quando mi riferisco al politico di professione, faccio riferimento a colui che non proviene da alcun sostanziale contesto lavorativo e a cui, dunque, manca contezza delle concrete priorità. In una parola lo definirei un “acchiappa-consensi”. Un prototipo già assemblato con frasi standard, semplicemente da agitare prima dell’uso.

Il Politico di Professione, per ciò che mi riguarda, costituisce la categoria dei «politicanti». Categoria dalla quale bisogna assolutamente tenere distinta quella dei politici. In questo senso, il sociologo Max Weber, già nei primi anni del ‘900, aveva individuato la distinzione tra colui che vive «per» la politica e colui che vive «di» politica.

Nel primo insieme vengono collocati tutti coloro che perseguono l’arte della politica come passione viscerale. In questo caso, almeno in linea teorica, non si dovrebbe anteporre il beneficio del singolo a quello della comunità.

Il secondo insieme, invece, racchiude in sé la categoria che vorrebbe trarre dalla politica una fonte durevole di guadagno personale, che sia in termini economici o anche solo “gestionali”. A buon diritto in quest’ultima ci rientra il politico di professione e, più in generale, il politicante.

Ovviamente, non è sempre possibile tracciare una distinzione così lineare. A traghettare dal vivere per la politica al vivere di politica il passo è breve. Spesso anche senza che il nostro soggetto se ne renda conto. E pensare che, addirittura, c’è chi ha provato internamente a darsi un limite temporale (senza che ovviamente ciò fosse richiesto dalla Costituzione) per evitare di passare dall’una all’altra categoria. Ogni riferimento non è puramente casuale, ma meglio soprassedere.

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Danilo Toninelli, ex ministro dei trasporti del Governo Conte I

Per quanto mi riguarda, inoltre, non credo valga l’assunto per cui più si sale – nella piramide politica – e più si incontrano tali figure: di questa tipologia infatti ne è intriso ogni singolo livello di governo. Anzi, meno si rende visibile e meglio è! Mi sia comunque consentito di spezzare una lancia in favore del politico locale che definisco “missionario”. Lui non solo vive per la politica, ma si deve barcamenare con mezzi di fortuna e spesso anche fornire i mezzi (economici e non) per sbrogliare alcune matasse.

Perché non scende in campo l’antagonista del Politico di Professione?

L’ulteriore domanda, a questo punto, appare scontata: «perché non scende in campo l’antagonista del politico di professione?».

La risposta empirica che ho cercato di darmi risiede nel fatto che la strada per i non-politici di professione spesso non è tracciata. Non si tratta di pavidità, ma di un atteggiamento conservatore che può essere riconducibile a molteplici fattori (mediatici o di giustizia, solo a titolo esemplificativo). D’altronde, chi pensate che abbia da perdere tra una persona che si è costruita tutto da sé ed una persona che non ha nulla tra le mani?

Il discorso potrebbe essere inteso come una semplificazione, è vero, ma come vi spieghereste che spesso si nutre di politica chi non rispecchia le nostre aspettative?


Autore: Rocco Nicita (Laureato in giurisprudenza presso Università Bocconi, Appassionato di storia, politica e attualità)

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