“I’m free to be whatever I choose” – Whatever (Oasis), 1994.
Sulle note degli Oasis, celeberrima band di Manchester, una delle roccaforti del Remain, vi raccontiamo la prima realtà conclamata di questo nuovo anno carico di aspettative: la Brexit!
Il Regno Unito dopo quasi mezzo secolo, è uscito dalla comunità Europea: Brexit’s done.
Un inno all’indipendenza e alla riconquista della intera sovranità nazionale, tanto decantata dai protagonisti di questa stagione inglese euroscettica, come l’attuale Primo Ministro, Boris Johnson, e la cui potenza fragorosa si è abbattuta sui mercati dei paesi di tutto il mondo e di conseguenza sulle loro economie.
Finalmente si è realizzato il sogno dei Brexiters di liberarsi degli steccati tecnocratici di Bruxelles e della sua gravosa regolamentazione, essendo stato siglato un Free Trade Agreement, che come tutti gli accordi di libero scambio non comprende quello dei servizi che rappresentano quasi il 7% del PIL britannico (prevalentemente servizi finanziari).
Con la Brexit, la macchina statale britannica, di per sé molto scarna, ha quindi guadagnato maggiore indipendenza ed efficienza, alla luce di quanto concordato?
Probabilmente no!
L’accordo commerciale che il Regno Unito e la Commissione Europea hanno siglato alla vigilia di Natale, è ancora in fase embrionale, e numerose saranno le trattative da intavolare poiché sono tutt’ora molti i campi vergini di regolamentazioni. Quello che appare evidente però, è che sia la legislazione e le imprese inglesi si troveranno a fare i conti con una documentazione che ingrasserà in maniera spropositata un’amministrazione abituata a mantenere una forma smagliante, avendo sempre seguito una dieta “ipo-legiferante’”, e che adesso, complici le abbuffate dei cenoni natalizi con Von Der Leyen e Co., riceverà un forte segnale di allarme derivante dall’incremento del peso sulla bilancia burocratica del paese, difficilmente smaltibile con una corsa sul Tamigi.
Se l’obiettivo era una maggiore deregolamentazione, per adesso si è ottenuto invece, l’effetto contrario.
Il Financial Times parla di “Corso di formazione burocratica” che tutte le famiglie britanniche dovranno seguire per imparare a convivere con le nuove norme che regoleranno fra tutti il trasporto personale, così come per le imprese sarà lento e difficile entrare in affari con l’Europa: nuove dichiarazioni doganali, ispezioni alimentari, controlli di provenienza e certificati di sicurezza. Per non parlare di tutti gli altri aspetti, come in particolare la finanza, che dovranno essere regolati a breve.
Insomma, un No-Deal sarebbe stato sicuramente peggio ma Brexit con Deal non sembra nemmeno essere una passeggiata per il governo di Bo-Jo. Whatever probabilmente sì, ma il prezzo da pagare è molto alto.
E le controindicazioni non finiscono qui, come vedremo.
“Know I’m leavin’ but I’ll be back another day” – Talk tonight (Oasis), 1995.
“La Scozia tornerà presto, Europa. Tenete la luce accesa”.
Questo è il tweet della Premier scozzese Nicola Sturgeon, pochi secondi dopo la mezzanotte del 31 Dicembre, per ricordare la volontà del suo paese di tornare a fare parte dell’Unione Europea dopo la Brexit.
Al referendum del 2016 infatti, più del 60% degli scozzesi votò per il Remain. Com’è noto, la maggior parte di loro sono anche fortemente indipendentisti.
Allora perché il referendum del 2014 sull’indipendenza scozzese dal Regno si risolse con una vittoria del ‘’No’’?
Seppur a distanza di due anni, Brexit non era uno scenario prevedibile, cosicché gli scozzesi decisero di rimanere nel Regno Unito e di conseguenza in Unione Europea. Furono in realtà traditi dalle imprudenti scelte politiche di David Cameron e beffati da un piccolo scherzo della storia: proprio uno scozzese redasse l’art 50 del T.U.E. che istituzionalizzava la possibilità di recesso da parte di uno Stato membro dell’Unione. Mai avrebbe immaginato che questo potesse essere utilizzato dal Regno Unito.
Il riemergere delle pulsioni indipendentiste però, non rappresenta un problema per la Corona proveniente esclusivamente dalla parte scozzese ma anche dal Galles, e soprattutto dall’Irlanda del Nord, che si trova nella posizione agevolata di poter godere dell’assenza di controlli alla frontiera con la Repubblica di Irlanda, lo stato che diverrà il nuovo cuscinetto tra l’Unione e UK dopo la Brexit.
Forse, e ci auguriamo che sia cosi, ci troveremo ad assistere all’emersione di nuovi indipendentismi che non hanno più come prerogativa la conquista di uno spazio sovrano e isolato ma di un posto decisivo all’interno di una rete iper-connessa di libera circolazione di merci, servizi, capitali e sopratutto persone, come la comunità Europea. “We will find a brighter day“, per le autonomie e per l’Unione.
“We need each other” – Acquiesce (Oasis), 1995
Oltre alle varie speculazioni politiche, si tratta comunque di una perdita importantissima per l’Unione Europea e per i suoi cittadini, specie per i più giovani.
Il Regno Unito esce fuori dal programma Erasmus: meta ambitissima da studenti italiani, francesi, tedeschi che vedono ancora più ridotte le loro possibilità di poter studiare alla LSE o ad Oxford, a causa anche delle restrizioni agli ingressi e all’innalzamento delle tasse universitarie, già molto alte.
Aspetti fondamentali ma non gli unici, delle conseguenze che provocherà Brexit e il Deal appena siglato sulle relazioni tra Regno unito e Unione europea e che lasciano una ferita profonda in quello che è stato e sarà il processo di integrazione europea. D’altra parte, la gran voglia di ripartenza che in questo momento sta brulicando in tutta Europa (e nel mondo) non potrà essere fermata sicuramente da un evento che, per quanto importante sia, oggi si ufficializza ma con l’idea del quale eravamo già abituati a convivere.
L’augurio è ovviamente quello che questo divorzio possa rappresentare un momento di riflessione per l’Europa che ha bisogno sempre di più di restare unita per fronteggiare le grandi sfide del futuro (già presente) e che, allo stesso tempo, non deve guardare al passato con rabbia ma con favore, rammentando i propri errori e imparando dagli stessi.
Good luck UK, we don’t look back in anger.
Articolo di Andrea Romano, studente di legge presso l’Università degli Studi di Milano e membro della “Commissione Innovation” di Libertà in Testa.